Archivio autore: Suore Figlie di Gesù

Il Nome di Gesù


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Oggi 3 gennaio, la nostra famiglia religiosa festeggia il Nome di Gesù,

il Nome più sublime e amato, nome che è al di sopra di ogni altro nome e in tale occazione rinnoviamo la nostra consacrazione a Dio per tutta la vita. Rinnoviamo il nostro Si a quel Dio che per primo ci ha amate e ci ha chiamate a stare con Lui, perchè possiamo con la nostra vita testimoniare il suo amore per ogni uomo.

Inoltre oggi 17 sorelle juniores hanno rinnovato la loro consacrazione annuale al Signore in Italia, Angola e Costa d’avorio. Per tutti questi doni vogliamo dar lode al Nome Santissimo di Gesù.

25 anni dal decreto sulle virtù eroiche del venerabile Pe. PEDRO LEONARDI


3 marzo 1990 – 3 marzo 2015

“La carità è madre, regina, anima, cuore e ricchezza di tutte le virtù. Essa richiede che la persona sia continuamente preparata a sacrificare la vita per i fratelli, come Gesù diede per noi la sua.”

D. Pietro Leonardi

"Vuoi, Signore, che ti ami nella ricchezza e nella povertà? il mio cuore risponderà: AMORE"!

“Vuoi, Signore, che ti ami nella ricchezza e nella povertà? il mio cuore risponderà: AMORE”!

Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento


+ Dal Vangelo secondo Marco

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In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di

chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Parola del Signore

Gesù Cristo, Dio fatto uomo


Il mistero dell’incarnazione di Dio, del Dio che si è fatto uomo, è così ricco da richiedere la lettura di molti brani dei vangeli, i quali con prospettive diverse ci testimoniano il grande evento della nostra salvezza. Il tempo di Natale è il tempo delle manifestazioni (epifanie) del Signore, e in esso feste e domeniche ci testimoniano alcune di queste “rivelazioni” avvenute per i poveri, per le genti, per l’umanità intera. Cerchiamo dunque di comprendere, per quanto ci è concesso, questo mistero plurale. Nel tempo, nei giorni della storia umana, Gesù è nato a Betlemme da Maria e per l’efficacia della forza dello Spirito santo. C’è stato un concepimento, una gravidanza, un parto, e a “Betlemme di Efrata” (Mi 5,1), Betlemme la feconda, in una stalla è nato un bambino, dono di Dio, è nato colui che era stato promesso dai profeti, il Messia, uomo discendente della stirpe di David (cf. 2Sam 7,1-17). Quando la parola di Dio si è fatta sentire su questa nascita, ha svelato che l’infante deposto in una mangiatoia era il Salvatore, il Messia, il Kýrios-Signore (cf. Lc 2,11). 

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Questo bambino, nato solo perché Dio l’aveva voluto, ha un’identità profonda che non appare, che non è visibile nella sua carne fragile e mortale, ma un’identità che non poteva essere taciuta. È il quarto vangelo, il vangelo secondo Giovanni, a spiegarcela, nel suo prologo. Nell’in-principio (cf. Gen 1,1), prima della creazione del mondo, era realtà vivente la Parola, la Parola di Dio, la Parola che era Dio. Una Parola certamente generata da Dio nella sua qualità di Padre, una Parola che era “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio”, come professiamo nel Credo. Siamo così ammessi e immersi nella contemplazione della vita più intima e segreta di Dio. In Dio c’è una comunicazione, c’è una vita condivisa, c’è un dialogo: il Padre genera costantemente il Figlio nella forza dello Spirito divino. Potremmo dire che in “Dio” che “è amore” (1Gv 4,8.16) c’è costantemente un flusso d’amore, per cui il Padre ama il Figlio che è l’amato, e l’amore tra i due è lo Spirito santo. 

Prima che il mondo fosse, c’era dunque la Parola di Dio, viva, operante, per mezzo della quale Dio ha creato l’universo. Proprio guardando a questa Parola che era suo Figlio, Dio ha plasmato l’uomo: l’immagine del Figlio nella vita divina ha definito l’immagine dell’uomo nella creazione (cf. Col 1,15-17). Ma questa Parola di Dio eterna, celeste, immortale, è uscita – per così dire – da Dio “molte volte e in diversi modi” (Eb 1,1) per tentare un dialogo con l’umanità: da Abramo fino a Mosè e ai profeti questa Parola di Dio si è fatta parola umana, proclamata, predicata, detta e ridetta dai servi di Dio i quali, per la missione ricevuta da Dio stesso, proponevano un dialogo, cercavano di instaurare la comunione di vita tra Dio e gli uomini. 

Infine, “venuta la pienezza del tempo” (Gal 4,4), questa Parola che era in Dio ed era Dio “ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,2), ha voluto farsi carne, diventare essa stessa carne d’uomo in Gesù di Nazaret. La Parola eterna si è fatta mortale, la Parola celeste si è fatta terrestre, la Parola potente si è fatta debole, povera. Le prerogative divine di questa Parola di Dio sono state come “messe tra parentesi”, non perdute ma tralasciate, perché la Parola ha voluto la kénosis, la spogliazione dalle qualità divine, per essere in tutto come noi, pienamente solidale con l’umanità peccatrice (cf. Fil 2,6-8). Vi è dunque una nascita eterna del Figlio di Dio e vi è una nascita terrena, nel mondo, del Figlio, e noi non possiamo contemplare l’una senza l’altra, perché questa è la fede cristiana: non un Dio solo trascendente, non un uomo divino, ma un Dio fatto uomo, Gesù Cristo. 

Allora possiamo solo ascoltare il solenne prologo di Giovanni e adorare: “La Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda tra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che riceve dal Padre come Figlio unico, pieno di grazia e di verità”. Se abbiamo un fratello che è il Figlio di Dio, anche noi siamo fatti figli di Dio, e soprattutto lui, nostro fratello nella carne ma Figlio di Dio, venuto da Dio, ci “racconta” (exeghésato) Dio, il Dio invisibile che nessuno ha mai visto né può vedere (cf. 1Tm 6,16). Chi guarda a lui, a Gesù, alla sua umanità, vede e contempla il vero Dio vivente (cf. Gv 14,6.9).
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI (dal sito del Monastero di Bose)

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.images[5]
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;  e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi:Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Parola del Signore.

Festa del Santissimo Nome di Gesù


Sia sempre benedetto il Nome Santissimo di Gesù…..

Il Nome indica un’identità spirituale specifica che si fonda su un rapporto relazionale di paternità e di figliolanza. Ricchiama costantemente la fiducia, l’abbandono, l’affidamento in un Dio Padre che ama le sue creature, sull’esempio di Gesù che ha vissuto il suo essere Figlio, in uno stille di obbedienza, di accoglienza, di fiducia e di affidamento alla fedeltà dell’amore del Padre…..

Il Nome dice l’identità, dice una storia, dice azioni, dice modo di esprimersi…

Don Pietro Leonardi desidera che il Nome delle sue discepole dicesse l’impostazione, il programma, il compendio di una vita intonata sugli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.

(tratto dal libro “Figlie Sorelle Madri” pag 175-176)

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I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.


+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

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Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Parola del Signore

Il peccato più grande? Smarrire lo sguardo di Dio


Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere… Dal Vangelo emerge un fatto straordinario: lo sguardo di Gesù si posa sempre, in primo luogo, sul bisogno dell’uomo, sulla sua povertà e fragilità.

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E dopo la povertà, il suo sguardo va alla ricerca del bene che circola nelle vite: mi hai dato pane, acqua, un sorso di vita, e non già, come ci saremmo aspettati, alla ricerca dei peccati e degli errori dell’uomo. Ed elenca sei opere buone che rispondono alla domanda su cui si regge tutta la Bibbia: che cosa hai fatto di tuo fratello?
Quelli che Gesù evidenzia non sono grandi gesti, ma gesti potenti, perché fanno vivere, perché nascono da chi ha lo stesso sguardo di Dio.


Grandioso capovolgimento di prospettive: Dio non guarda il peccato commesso, ma il bene fatto. Sulle bilance di Dio il bene pesa di più. Bellezza della fede: la luce è più forte del buio; una spiga di grano vale più della zizzania del cuore.

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Ed ecco il giudizio: che cosa rimane quando non rimane più niente? Rimane l’amore, dato e ricevuto. In questa scena potente e drammatica, che poi è lo svelamento della verità ultima del vivere, Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare fino a identificarsi con loro: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me!

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Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d’amore per l’uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi offrono aiuto sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere.
Gli uomini e le donne sono la carne di Cristo. Finché ce ne sarà uno solo ancora sofferente, lui sarà sofferente.


Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati. Che male hanno commesso? Il loro peccato è non aver fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra, indifferenti.
Non basta essere buoni solo interiormente e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, per chi ha fame o patisce ingiustizia, stare a guardare, è già farsi complici del male, della corruzione, del peccato sociale, delle mafie.
Il contrario esatto dell’amore non è allora l’odio, ma l’indifferenza, che riduce al nulla il fratello: non lo vedi, non esiste, per te è un morto che cammina.
Questo atteggiamento papa Francesco l’ha definito «globalizzazione dell’indifferenza».

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Il male più grande è aver smarrito lo sguardo, l’attenzione, il cuore di Dio fra noi.

Pe. Ermes Ronchi

Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.


+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Parola del Signore

Nella Chiesa fuori i mercanti e dentro i poveri



In tutto il mondo i cattolici celebrano oggi la dedicazione della cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano, come se fosse la loro chiesa, radice di comunione da un angolo all’altro della terra. Non celebriamo quindi un tempio di pietre, ma la casa grande di un Dio che per sua dimora ha scelto il libero vento di sempre, e si è fatto dell’uomo la sua casa, e della terra intera la sua chiesa.

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Nel Vangelo, Gesù con una frusta in mano. Il Gesù che non ti aspetti, il coraggioso il cui parlare è si si, no no. Il maestro appassionato che usa gesti e parole con combattiva tenerezza (Eg 85). Gesù mai passivo, mai disamorato, non si rassegna alle cose come stanno: lui vuole cambiare la fede, e con la fede cambiare il mondo. E lo fa con gesti profetici, non con un generico buonismo.
Probabilmente già un’ora dopo i mercanti, recuperate colombe e monete, avevano rioccupato le loro posizioni. Tutto come prima, allora? No, il gesto di Gesù è arrivato fino a noi, profezia che scuote i custodi dei templi, e anche me, dal rischio di fare mercato della fede.
Gesù caccia i mercanti, perché la fede è stata monetizzata, Dio è diventato oggetto di compravendita. I furbi lo usano per guadagnarci, i pii e i devoti per ingraziarselo: io ti do orazioni, tu in cambio mi dai grazie; io ti do sacrifici, tu mi dai salvezza.
Caccia gli animali delle offerte anticipando il capovolgimento di fondo che porterà con la croce: Dio non chiede più sacrifici a noi, ma sacrifica se stesso per noi. Non pretende nulla, dona tutto.
Fuori i mercanti, allora.

La Chiesa diventerà bella e santa non se accresce il patrimonio e i mezzi economici, ma se compie le due azioni di Gesù nel cortile del tempio: fuori i mercanti, dentro i poveri. Se si farà «Chiesa con il grembiule» (Tonino Bello).


Egli parlava del tempio del suo corpo. Il tempio del corpo…, tempio di Dio siamo noi, è la carne dell’uomo. Tutto il resto è decorativo. Tempio santo di Dio è il povero, davanti al quale «dovremmo toglierci i calzari» come Mosè davanti al roveto ardente «perché è terra santa», dimora di Dio.
Dei nostri templi magnifici non resterà pietra su pietra, ma noi resteremo, casa di Dio per sempre. C’è grazia, presenza di Dio in ogni essere. Passiamo allora dalla grazia dei muri alla grazia dei volti, alla santità dei volti.
Se noi potessimo imparare a camminare nella vita, nelle strade delle nostre città, dentro le nostre case e, delicatamente, nella vita degli altri,
con venerazione per la vita dimora di Dio, togliendoci i calzari come Mosè al roveto, allora ci accorgeremmo che stiamo camminando dentro un’unica, immensa cattedrale. Che tutto il mondo è cielo, cielo di un solo Dio.

padre Ermes Ronchi